Oculisti = 0.

L’altra sera sono stato a cena in un ristorante e non ho potuto fare a meno di “origliare” una conversazione che mi ha davvero riempito di amarezza infinita.

C’era una famiglia composta da nonno e nonna, padre e madre, figlio e figlia.  I nonni erano molto anziani e occhialuti.  Il padre era un signore sulla quarantina e portava anche lui occhiali molto forti, che gli davano una espressione come di un cane abbattuto dalla stanchezza e dalla fame.  Si muoveva con fatica.  La madre era tutto il contrario, non portava occhiali, parlava continuamente senza soste, recava in viso un ghigno che uno potrebbe forse definire “satanico” per l’espressione che le dava mentre, raramente, taceva o pensava tra sé e sé.  Il figlio era intorno ai quattordici anni, fortemente occhialuto pure lui, e pure stralunato.  La figlia aveva sicuramente meno di dieci anni, era simpatica e carina; le avevano appena messo gli occhiali, che lei inforcava e toglieva, ancóra non completamente rassegnata.

Questo il discorso tenuto dalla madre, rivolta al figlio, che riporto a memoria:

«Tu quanto hai?  Tre e settantacinque e tre e venticinque?  Nooo!  Tu hai tre e venticinque e due e settantacinque!  Allora la dottoressa è stata molto gentile.  Ha detto che è tutto scritto nel DNA e noi non possiamo fare altro che “osservare” quello che accade, controllando la vista ogni sei mesi e cambiando le lenti se necessario, perché se la vista un po’ peggiora, mettiamo lenti piú forti, se la vista invece un po’ migliora, mettiamo lenti piú deboli, e poi, con la crescita, quando uno fa un po’ piú grande, si può pensare all’intervento o magari alle lenti a contatto».

Morale della favola:  oggi, nella primavera del 2015, la oftalmología “moderna” continua a sostenere le stesse teoríe di duecento o trecento anni fa.  Non è cambiato nulla.

Quando in pochi minuti, se non secondi, sarebbe stato facile, per la bambina non ancóra abituata alle lenti correttive, poter dimostrare che è tutto basato sullo sforzo mentale e non sui difetti del DNA o su sconosciute cause imponderabili.  Sarebbe bastato farle fare qualche minuto di palmeggiamento, ricordando immagini piacevoli, colori facili da rivedere a occhi chiusi, per riscontrare che nel riaprili la vista è molto migliore di prima e non è vero niente che non possiamo farci nulla!

Mi sarebbe piaciuto intervenire nella discussione, ma poi mi sono bloccato e ho avuto paura.  Mi avrebbero sicuramente preso per pazzo e magari avrei anche rischiato di essere picchiato.  Però non è giusto.  Condannare una bambina di neanche dieci anni alla miseria degli occhiali e alla dipendenza da un fastidio perenne, con costi continui e malesseri interiori ed esteriori sempre maggiori, con il rischio moltiplicato dell’insorgenza di malattie serie, anche organiche, mi sembra proprio un crimine.  Come fanno a non capirlo?  L’unica risposta che mi posso dare è che sia soltanto una questione di business e di marketing, affari e propaganda, sulle spalle di noi poveri cristi ignari di tutto e disposti a non rinunciare al conformismo in cui naturalmente si nasce.

[Gianni, Fi]

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